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sCIROCCO

l a  c r i t i c a





“Rosalia, la protagonista di questo irrequieto viaggio dentro il vento, ne regge la bellezza ed il fascino per tutta la sua durata: polverosa, sabbiosa, accaldata, beffarda e visionaria: quasi tragica?  Un «realismo magico» capace di coniugare (come le due vite di Rosalia e Salvatore) la realtà precisa di un preciso tempo di storia nostrana con la meraviglia di una realtà sommessa e principesca in cui la fiaba è vera. E dentro la fiaba, ma direi meglio se la chiamassi “cunto” o racconto o epos, la sconvolgente frantumazione delle convenzionali regole amorose per due corpi che allacciano –forse inconsapevolmente come due innocenti animali– anche i propri cuori per poi non separarli più, e morire insieme: fatalmente.  (...) Ma che sollievo e che catarsi, intanto, vivere questo teatro, farsi abitare l’anima dalla bellezza che non si dissipa nemmeno al vento, che rimane viva in noi che abbiamo avuto in sorte il dono di “Scirocco”, un omaggio ispirato e sincero. Perché la bellezza non si nasconde, e nasconderla è un peccato. Perché è lei a salvarci dalla tragedia più cupa con la commozione, ad aprirci alla speranza della gratuità, capace com’è di sfidare l’assurdo, restituendogli dignità e senso e spazio vitale. Perché chi lavora in questo spettacolo conosce e comprende la grandezza come la meschinità della natura umana, e le “rappresenta” nella faticosa letizia del teatro.
“Scirocco” è un dono in cui la perizia tecnica di tutti è identica all’istinto dell’arte. È un saggio della piena maturità artistica di Enrico Forte, della forza e della pazienza del suo pensiero che si fa, appunto, “dramma”, azione scenica.
Bravi. Enrico Forte (regia e drammaturgia), Agnese Chiara d’Apuzzo (strepitosa!), Franco de Luca (fotografia di scena), Bruno Treglia (allestimenti e direzione tecnica), Giacomo Forte (video) e Patrizia Vindice (costumi). “  (giuseppina piras)


“(..) un «cunto» siciliano di altri tempi, una vicenda di sentimenti forti (..) narrati con un realismo velato di magia, quasi fosse una fiaba raccontata dal vento, da quello scirocco che dà nome al tutto e che soffia continuamente, soffocante e impetuoso, per  diventare tramite di antiche leggende o di umanissime storie d'amore. «Scirocco» commuove, affascina, è un inno alla bellezza del teatro dove rivivono i fatti e i sentimenti e parlano a generazioni e generazioni con nuova energia e vitalità. Un intreccio di sacro e profano che avvince lo  spettatore e lo rende parte del destino di Rosalia e Salvatore.” (Francesca Del Grande, Latina Oggi)


“Siamo in attesa nella luce soffusa e ci attirano un vecchio grammofono degli anni Venti del Novecento nell’angolo e un semplice bianco separè con dietro una figura immobile bianca, che mi sembra un manichino.
Quando arriva il momento dell’inizio, scopro che si tratta dell’attrice che, in veste serale di bianca seta, donna e fantasma nello stesso tempo, dal viso bianco imbellettato con le labbra luminose di rossetto, con gestualità sempre diverse, dalle mani ai piedi nudi, nel silenzio che nasce, crea l’atmosfera dell’ascolto, dell’attenzione, della curiosità.
Finalmente la voce, regina del teatro, che evoca negli accenti e nelle sfumature la cara, amara, misteriosa Sicilia, con il racconto che parte, come nella magia millenaria del ’C’era una volta’. C’era una volta una giovane coppia di siciliani poveri, Rosaria e Vincenzo, che ricevette inaspettatamente, misteriosamente in dono un palazzo da un principe appena defunto e con esso un servitore di nome Salvatore (...). E la voce, quella voce, subito si impone sovrana, evocando nei registri popolari passaggi di sapienza e acutezze millenarie, trapassando dal femminile al maschile con virtuosità inattesa. Echi intrecciati di Pirandello, Verga, Sciascia, Tomasi di Lampedusa, mi affiorano nell’ascolto. Veramente capace di afferrare e trasmettere la sensibilità siciliana questa attrice che non conosco e che sicuramente è venuta da quell’isola grande, regina del Mediterraneo. (...) Per un’ora ci attrae e ci meraviglia con sapienti intervalli di canzoni e di qualche immagine  proiettata nel fondo, lei sola, lei sola, l’attrice Agnese Chiara, che è Rosaria e Vincenzo e Salvatore insieme, con eccezionale capacità di memoria e di saper suscitare un caleidoscopio di emozioni (dal mistero, al lutto, all’amore, all’atmosfera della stanza dello ‘Scirocco’, che dà il titolo allo spettacolo, al tragico civile che incombe sul quotidiano dei protagonisti).
Viene voglia di applaudire già durante lo spettacolo, ma l’emozione intensa grata si esprime tutta e a lungo nel plauso finale che coinvolge tutta la sala.” (Nicola Terracciano, storico)


Il teatro è un cubo nero popolato di fantasmi.  (..) Scirocco è uno spettacolo contemporaneamente al di qua e al di là della nostra condizione di spettatori. Comincia prima ancora di andare in scena, nel tempo vuoto del riempirsi della sala. Come il vento, che gli dà titolo, lo senti e non lo vedi.
(..) La poesia di Scirocco sta tutta nel senso dell’apparizione. Un passo prima dell’epifania.
Ciò che appare c’è e non c’è. Ha uno spazio tutto suo che è un non spazio. Gli passi in mezzo solo ad allungargli, ad un passo, la mano trepidante. Forse lo vedi davanti a te, ma tutto ciò che occupa è tempo senza volume. Così la scena si contrae nel nulla del buio nero tagliato solo dalle luci. Una scena che è al tempo stesso platea, nella confusione del “qui e ora” del teatro con il “qui e per sempre”dell’archetipo. C’è solo un altro spazio, retrobottega di sogno, che sta sul fondo, spartito dal resto da una tendina, da una pioggia di fili bianchi che chiudono e aprono al tempo stesso non sai bene cosa. Un segno scenico che gli basta un soffio a tirarlo su, un respiro a farlo oggetto d’illusione o a dirgli che c’è. E basta appena che cambi la luce che lo bagna, che questo ondeggiare di illusioni, questo filtro di immagini-passato si fa più o meno opaco: solidità apparente ad un passo dal nulla.
Questo confine arcano tra un niente e un altro niente è la porta all’unico spazio di questo cubo teatro che è appannaggio solo dell’attore. Non invisibile, ma neanche visibile è un altrove che è anche qui: porta aperta-chiusa per occhi chiusi-spalancati. Di là c’è la scena che non vedi o il sogno che intravedi. Di qua l’attrice che coi suoi gesti perfettamente calcolati apre e chiude frammenti di racconto, brani di passato.
Si offre al pubblico e noi siamo il suo rappresentazione. Frattanto lo spettacolo dolente del Tempo va avanti da solo, indifferente tanto a noi, quanto a lei.
In Scirocco ci sono invenzioni di regia spesso formidabili. E c’è un lavoro d’attore sopraffino, accuratissimo, nitido e pulito. Lo spettacolo trova la sua ragion d’essere oltre l’esercizio portato a compimento in piena sicurezza o il virtuosismo che strappa l’applauso per la sola ragione che sfida la gravità senza rete sotto. È il frutto d’uno studio, di una precisa esigenza espressiva che tira tutte le frecce che ha al suo arco per restare in e per andare oltre questo spazio e questo tempo.  (Alessandro Izzi, caporedattore della rivista Close-up)

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